«Ma perché dobbiamo imparare a scrivere e parlare come voi?»
Questa è la domanda che Sara, 6 anni, bambina sinta del campo residenziale in piazzale Europa a Pavia, ha rivolto ad una nostra educatrice a scuola durante un progetto di natura ludico espressiva.
Era il 2004.Da questa domanda in seno alla nostra équipe di lavoro è nato un fermento che ci ha portato a cercare attorno a noi gli attori sociali che lavorano nel campo dell’educazione con i minori del sinti e rom, conoscere i percorsi che il settore sociale aveva attivato per i minori e le loro famiglie e abbiamo lavorato cercando di dare il nostro contributo al panorama di interventi presenti sul territorio pavese. Arci Pavia ha attivato quindi una serie di laboratori estivi nei campi sinti di piazzale Europa e di viale Bramante in cui ai momenti ludici sono stati affiancati momenti più strettamente legati all’ambito educativo, con particolare riferimento ai percorsi di educazione alla legalità. Abbiamo tenuto il filo con le altre associazioni e soprattutto con i Servizi Sociali del comune di Pavia per monitorare il lavoro.
Ma non ci sembrava abbastanza, vedersi una o due volte all’anno per raccontarsi i progressi e le difficoltà delle azioni messe in atto, ma questa frequentazione ci ha dato la misura di quanto fosse importante coordinare l’azione tra tutti e porsi sotto l’egida della coordinatrice dell’Area Minori di Pavia e di Collaborare più strettamente con le famiglie e la scuola.
Poi a gennaio l’associazione Per fare un albero-Onlus, che già segue da circa cinque anni i minori dei campi per il sostegno scolastico pomeridiano nel suo centro, ci ha informato che dopo aver effettuato l’inserimento di due minori nella scuola primaria sorgevano difficoltà notevoli a contenere i ragazzi dentro la classe per così tante ore.
La scolarizzazione dei minori Rom e Sinti è una questione di carattere certamente pedagogico, ma anche il risultato di complessi rapporti con i poteri pubblici, le istituzioni sociali e le comunità autoctone, dove la condizione del “gruppo” prevale sull’individuo e le relazioni tra genitori, bambini e scuola sono spesso permeate da una conflittualità latente.
La scolarizzazione è, ancora in molti casi, un processo che viene dopo il superamento di difficoltà economiche e il mantenimento di un luogo di sosta precario o provvisorio. Ma è anche il piano di un confronto difficile tra valori culturali endogeni, che riproducono lo stile di vita sociale e culturale del gruppo, ed esogeni o funzionali, tesi cioè a sviluppare l’adattamento all’ambiente circostante.In modi diversi Rom e Sinti hanno dimostrato di adattarsi meglio ai cambiamenti presenti, di altre frange di popolazione.
La loro flessibilità economica, la mobilità geografica, l’educazione familiare, lo stile di vita comunitario vincolano l’individuo a una rete di mutua sicurezza che gli dà una solida identità.
In questo senso è importante parlare di processo di istruzione e non di educazione: è sempre la famiglia (estesa), infatti, l’entità a cui è affidata la formazione e l’educazione dei bambini, essendo la scuola un’istituzione avvertita dagli zingari come fondamentalmente etnocentrica ed estranea alla propria cultura.
I genitori Sinti mostrano di percepire come l’impatto formativo che la scuola cerca di esercitare sui propri figli possa in realtà “alienarli” dalla cultura di appartenenza. Vi è una evidente contrapposizione tra due logiche educative, quella formale della scuola, in cui predomina l’insegnamento verbale, gli orari, la divisione per classi d’età e quella informale della famiglia zingara, in cui il bambino impara vivendo con gli altri, nell’ascoltare e nel fare accanto agli adulti, non per imposizione ma spinto dalla sua naturale curiosità di conoscere e di sperimentare e dall’ambizione di essere approvato dalla comunità (Karpati). L’approccio interculturale di molti operatori scolastici tende certamente a conoscere, valorizzare, rispettare le culture diverse, ma, invero, tale pedagogia, deve essere mediata dall’interculturalità dell’ambiente: occorre cioè che il bambino sia riconosciuto nel contesto sociale con tutta la sua originalità e ricchezza.
E’ evidente lo scarto che separa ancora i bambini zingari da tale auspicabile situazione.
A parte alcune peculiari situazioni, dove da lungo tempo vivono in modo semi stanziale comunità di Rom e Sinti italiani, la presenza di alunni zingari nelle scuole dell’obbligo è notevolmente inferiore alle aspettative anche se, sovente, non dobbiamo scambiare gli effetti di questa situazione generale per le cause del fallimento scolastico.
Saper utilizzare l’alfabeto è un conto, e tutti vorrebbero saperlo fare; voler mandare i figli a scuola è un altro conto (Piasere) e pone in modo forte il problema dell’acculturazione attraverso la scolarizzazione e il suo rifiuto.
Alcuni dei temi affrontati in queste riflessioni hanno subito in questi ultimi anni delle trasformazioni positive. Per esempio, c’è un’enfasi maggiore sulla prescolarizzazione e, inoltre, si è sviluppata la formazione degli insegnanti e il ricorso all’impiego di Mediatori Culturali Rom.
Ma occorre comunque tener sempre presente che ogni valutazione sulla scolarizzazione è contemporaneamente una valutazione di politica generale. L’intercultura trova la sua strada in classe attraverso l’intercultura nel mondo in genere.
Molto scarsa è anche la richiesta di scuola materna, a causa della riluttanza delle madri zingare a separarsi dai bambini più piccoli e d’altra parte emerge come sia necessario impostare un rapporto corretto con il gruppo, rassicurando i genitori sul trattamento che avranno i bambini, dimostrando che non c’è atmosfera ostile intorno a loro.
Tenuto conto del bi – trilinguismo (romanès, dialetto italiano, italiano, lingua straniera), intrinseco alle competenze comunicative dei bambini Rom, è importante promuovere la conoscenza e la frequenza alla scuola materna, per favorire esperienze sociali e migliori competenze linguistiche.
La scuola elementare è l’ambito nel quale, negli ultimi anni, sono stati raggiunti i maggiori risultati e dove più attiva è la presenza di alunni Rom e Sinti e di esperienze innovative, quali ad esempio l’inserimento di Mediatori Linguistico/Culturali zingari.
La dispersione scolastica raggiunge invece punte altissime nella scuola media, verso la quale le famiglie zingare non si sentono obbligate alla frequenza o per cui, se non esercitano una professione (ad es. giostraio) non ne riconoscono l’utilità. Inoltre la scuola media presenta una struttura certamente più rigida, negli orari e nella minore flessibilità degli insegnanti, i ragazzi non trovano un adeguato sostegno allo studio individuale, ha costi rilevanti, spesso al di sopra delle possibilità delle famiglie.
Nonostante tutte le difficoltà rilevate, l’istruzione deve rimanere un interesse centrale, perché può trasmettere un’immagine positiva agli stereotipi negativi predominanti, accrescere l’autonomia personale e fornire i mezzi di adattamento all’ambiente in mutamento come mezzo di difesa da pericoli di assimilazione. Da queste riflessioni condivise si è dipanato il filo rosso di questo Progetto.
Come Arianna, Noi si tiene il capo del filo che si dipana tra i mille corridoi del labirinto che è la nostra complessa società, ancora più complessa per persone radicate in una cultura profondamente differente dalla nostra, cercando di orientarne il tragitto con queste proposte progettuali.
Il senso di questo lavoro di équipe è quindi tendere all’obiettivo di facilitare i legami sociali in una società multietnica e lasciar fluire le azioni, le esperienze, i laboratori di vita attraverso le nostre proposte.
Il nostro compito, di operatori del progetto, è quello di registrare i risultati delle azioni, osservare i fatti e documentarli, sicuri che possano configurarsi come l’inizio di un percorso in grado di proporre soluzioni alternative che possano vedere Settore Pubblico e Terzo Settore lavorare proficuamente per il miglioramento del “nostro paese”.